Una chiacchierata con Idelfono Colombo, il designer di Adelmo. Laureato in Industrial Design alla facoltà del Design del Politecnico di Milano nel 1997, dal 1998 è titolare dello studio “Colombo Idelfonso Industrial Designer” in cui si dedica alla progettazione e al design di prodotti, nel settore dell’arredamento.
1. Si definisce “Industrial Designer” e in questi ultimi anni si sente spesso parlare di stile “industrial” come un’etichetta che viene applicata ad un certo tipo di prodotti e ambienti. Quale è la sua definizione di “industrial”?
Mi piace ricordare la definizione di Tomás Maldonado, artista, designer, filosofo e accademico argentino, padre fondatore del primo corso di Laurea in Disegno Industriale in una Università pubblica italiana, il Politecnico di Milano (dove mi sono laureato in Industrial Design):
“Il disegno industriale è un’attività creativa che ha lo scopo di determinare le proprietà formali degli oggetti prodotti industrialmente. Per proprietà formali non si devono intendere solo le caratteristiche estetiche, ma soprattutto le relazioni funzionali e strutturali che fanno di un oggetto un’unità coerente sia dal punto di vista del produttore che dell’utente. Il disegno industriale ha per oggetto tutti gli aspetti dell’ambiente umano che sono condizionati dal processo industriale”.
Altro è lo stile “industrial”, che non ha nulla a che vedere con l’industrial designer, ma che definisce un ambiente, un prodotto, un life style che hanno come chiari riferimenti l’ambiente dell’industria (volumi architettonici, gli impianti idraulici ed elettrici, le vetrate, l’arredo, l’illuminazione, i colori, etc…).
2. Un suo progetto che porta nel cuore e per quale motivo.
Sicuramente il progetto che porto nel cuore risale al 1997, anno in cui ho ricevuto il terzo premio al concorso per designer “Young & Design” con la cucina “ildoga”. Era la prima volta che veniva premiato un programma di mobili e non un oggetto di design e ne fui molto orgoglioso…
3. Qual è la parte più bella del suo lavoro?
Quando ricevo un brief dal committente il concept nasce in pochi giorni, ma poi la sperimentazione dura anche dei mesi. Alla fine si raggiunge il primo risultato: il prototipo. Questa è la parte più bella del mio lavoro: l’idea che si materializza e diventa prodotto!
4. Come è nato Adelmo e qual è l’aspetto più sorprendente di questo progetto?
In questo caso il brief di TDA era “progetta un nuovo piatto doccia”, quindi avevo carta bianca (il che può anche spaventare), ma mi sono dato dei punti fermi su cui far ruotare tutto il progetto. Volevo un piano d’appoggio per i piedi antisdrucciolevole (lo fanno in molti), ma mi prefiggevo anche di risolvere il problema del deflusso dell’acqua. Così è nata l’idea di fare uno scarico per il deflusso perimetrale, che consentisse di avere i piedi appoggiati su un piano in assenza di rivoli d’acqua, quindi più asciutti possibile, con aumento della sicurezza. Naturalmente, poi, ci sono le caratteristiche fantastiche di “AROCK®” (il materiale brevettato da TDA), il pianetto che nasconde la piletta di facile asportazione per una semplice pulizia, il tutto con un design minimale, che rientra nelle mie caratteristiche.
5. In passato ha già collaborato con TDA per la realizzazione della parete doccia Dino. Come è stato tornare a collaborare con l’azienda?
Beh, ovviamente ne sono stato felice, visti gli ottimi risultati della collaborazione precedente e i risultati già raggiunti insieme. In TDA ho trovato un ambiente dove non contano solo l’aspetto professionale e tecnico, ma anche i rapporti umani e questo ha creato quell’affiatamento che aiuta a lavorare con entusiasmo.
6. Come si pone nei confronti dei nuovi materiali e delle nuove tecniche di produzione? Che ruolo hanno?
Sono un fautore di tutte le novità che il mercato può proporre; anzi, molte volte il prodotto nasce proprio dalle caratteristiche dei nuovi materiali o dalle tecniche di produzione innovative, che offrono opportunità prima inesistenti. Naturalmente ciò deve, però, essere compatibile con la fascia di mercato in cui si posiziona l’azienda committente, per evitare che l’attività svolta venga vanificata da costi di produzione non sostenibili.
7. Come cambierà (e come è cambiato in questo anno) secondo lei il ruolo del designer nel breve termine?
Il designer non cambia, cambiano le abitudini delle persone, cambiano i bisogni, cambiano le criticità, cambiano i materiali, in una parola cambia la società. Ebbene, un bravo designer deve cogliere tutte queste continue evoluzioni per approdare a prodotti o servizi fruibili, cercando, anzi, di anticipare il mercato.
8. Collabora con il Politecnico di Milano. Secondo Lei cosa contraddistinguerà la nuova generazione di designer italiani?
I nuovi designers dovranno essere in grado di lavorare molto sulla riciclabilità dei prodotti, sulla riconversione ed il riuso, cogliendo i cambiamenti e la nuova sensibilità verso l’ambiente e la sostenibilità, stando al passo con una società che cambia sempre più velocemente e sempre più consapevole…
Il consiglio che mi sento di fornire ai giovani designers è, però, anche quello di fare esperienze insieme ad artigiani di comprovata qualità, di non dimenticare il mestiere e la manualità di cui questi ultimi sono espressione, perché è dal nostro passato che possono trarre quegli insegnamenti per il loro futuro che li renderà virtuosi nella loro professione e agli occhi delle aziende.
9. Quali libri e progetti hanno influenzato la sua filosofia di design? Come resta aggiornato con gli ultimi trend e quali trend sono destinati a durare nel tempo secondo lei?
Devo molto ai libri di storia ed ai Maestri del Design, non potrei elencare un libro e nemmeno un progetto, ma essendo curioso di tutto quello che riguarda il mio lavoro, mi tengo aggiornato tramite fiere internazionali, libri, riviste ed ora anche tramite i social. Inoltre, non mi perdo una mostra d’arte, classica o contemporanea, per allargare i miei orizzonti. Devo molto anche alle botteghe artigiane dei fornitori, fondamentali per il loro saper fare e mi piace il ruolo di mediatore tra la loro esperienza e le esigenze produttive delle aziende, nello sforzo comune di creare nuove sinergie, nuove reciproche esperienze e nuovi prodotti.
Il trend lo guardo, lo studio, cerco di conoscerlo, anche se, a mio avviso, è un concetto che appartiene più alla comunicazione e al marketing. Quanti prodotti negli anni sono stati ripresentati con nuovi colori, nuova grafica e con la filosofia del momento, ma ancora oggi resistono sul mercato. Quindi io credo più ad un prodotto bello, ben fatto, funzionale e che duri nel tempo, passando indenne attraverso tutte le mode del momento.
10. Quali sono i suoi obiettivi nel breve e nel lungo periodo?
Mi piacerebbe continuare ad avere idee e presentarle, anche spaziando al di fuori dal mio settore privilegiato, quello dell’arredo. Credo che in tutte le aziende, a qualsiasi settore merceologico appartengano, ci sia spazio per il Design, soprattutto in quelle che pensano di non averne bisogno, perché solo il design sa coniugare bellezza e funzionalità.
Spero di farcela.